Lei è seduta
sulla sedia, ha gli occhi chiusi, le mani in grembo, la testa reclinata sul
lato. Ormai da qualche mese la sua posizione preferita è questa, seduta. Lei che
a sedere non ce la mettevi nemmeno se la legavi. Adesso sta seduta. E anche se
non ha gli occhi chiusi è come se non ti vedesse, un velo le è sceso sugli
occhi e ti guarda, ma non ti vede, certi momenti pensi: adesso mi ha vista,
adesso dirà qualcosa che ha un senso e ci faremo due risate, buttandoci tutto
alle spalle. Ma lei non ti vede, ti fissa, ti fa un sorriso, ma non ti vede e
continua a guardarsi le mani o a lisciare la vestaglia. Sembra spenta, anche i
suoi capelli sembrano spenti, quei capelli che erano sempre perfettamente in
piega, sempre lucidi, sempre profumati, adesso sono spenti, come i suoi occhi. Lei
è mia nonna, la mia nonnina, la mia forza. Vederla così mi fa male. Così
immagino che dietro a quegli occhi chiusi lei sia già in un mondo bellissimo,
dove lei è giovane e circondata dalle persone che sempre ricerca ultimamente,
suo marito, suo fratello, i suoi genitori, suo nonno. Immagino che quando mi guarda
senza vedermi e mi sorride, vede una sua amica d’infanzia e mi sorride con quei
sorrisi carichi di speranza e ingenuità che solo la gioventù può. Non voglio
pensare che sta morendo, voglio pensare che sta tornando dove è stata felice. E
non mi importa se vuole mangiare la pasta col coltello e non gli riesce, se si
mette la giacca al contrario o se insiste nel volersi infilare le scarpe di
Caterina, non mi importa. Lei è mia nonna.
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